Arrabbiarsi non è un segnale di forza. (Evento ANNULLATO causa corona virus)
Comandi, ordini, sgridate, arrabbiature rischiano di segnalare la fragilità degli educatori. È necessario uscire da questa trappola, anche se oggi la cultura mediatica spinge sul genitore emotivo, sempre “on line” con il figlio, per accontentarlo, per metterlo nelle condizioni migliori, come se con questa generazione di bambini si dovessero riscattare millenni di vessazioni.
La distinzione tra regole e comandi rappresenta un’area di confusione molto diffusa e legata ai modelli tradizionali.
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L’utilizzo dei comandi, specialmente quando i bambini sono piccoli, appare molto inefficace. «Siediti e mangia!», «Sbrigati», «Controllati», «Metti a posto i giocattoli!», «Fai il bravo» «Non reagire così, dai!», «Dimmi cosa pensi» ecc. ecc. rappresentano tutte forme di comando – esplicitate anche dalla forma imperativa della lingua italiana.
Nei bambini fino ai 6 anni questo tipo di richiesta di obbedienza sostanzialmente passiva non funziona, perché il bambino in questa fase della vita è dominato da un pensiero dicotomico molto forte (“o è nero o è bianco”),
è più facile nei bambini dai 7 ai 10 anni, nell’arco di tempo coincidente con la seconda parte della scuola elementare nella quale effettivamente c’è più disponibilità ad ascoltare i genitori e rendersi compiacenti alle richieste degli adulti.
Ma si tratta di un’illusione evolutiva poiché poi, in adolescenza, il ragazzo tende a riallontanarsi e riprende le abitudini simmetriche del periodo della prima infanzia.
La cosa migliore è uscire da questa militaresca e arcaica cultura pedagogica dei comandi che è un antico substrato del padre padrone, delle maniere forti, del mangia la minestra o salti dalla finestra, del “o con le buone o con le cattive”.
“Il bambino che non obbedisce e non ascolta” diventa la metafora di questo errore, spingendo a domare questa riottosità che spesso è solo il disperato bisogno di affermare se stessi.
L’idea che la regola sia qualcosa di duro è molto equivoca. La cultura delle regole è ciò che può salvare gli educatori
da questo momento storico estremamente critico, in quanto tutti noi abbiamo memoria dei metodi forti ma non sarà la sostituzione con metodi più morbidi a farci ottenere risultati positivi.
La cultura delle regole ci dice che viceversa il principio educativo è un principio di organizzazione: ci sono relazione ed amore, ma in aggiunta vi è la capacità di organizzarsi bene.
Pertanto i genitori, nella coppia, stabiliscono una serie di procedure che permettono ai bambini di essere tranquilli e sapere cosa possono fare, quando e come.
Il caso del sonno è il più drammatico. Da anni diciamo che i bambini italiani stanno perdendo almeno un anno di sonno rispetto alle generazioni precedenti.
È un dato allarmante sia per le prestazioni scolastiche sia per quelle fisiche, sportive ed è conclamato che la diminuzione delle ore di sonno è legata al fatto che i genitori non riescono ad organizzare concretamente l’orario in cui i figli devono andare a dormire.
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Una procedura è un principio organizzativo, si stabilisce un orario, si ricorda quando andare a letto.
Anche le parole hanno il loro peso, cioè occorre usare parole che abbiano una loro natura organizzativa, che stabiliscano per il figlio una dimensione di adeguamento alla regola, piuttosto che obbedire ai genitori.
I genitori preferiscono i bambini che capiscono spontaneamente, ma la natura non fa salti, è necessario rinunciare a questa onnipotenza e organizzarsi. Inutile fare discussioni interminabili sulla presenza della tv a cena, è fondamentale mettere una chiara regola.
Per mandare a letto un bambino…
Per mandare a letto un bambino occorre avere un orario chiaro, condiviso da entrambi i genitori, disattivare tutto, non attivarlo, come quelli che dicono “dai, stanchiamolo”: ma il bambino non puoi stancarlo, lo adrenalizzi e lui ti tira fino all’alba ancora vispo.
C’è una procedura. Non si può dire “dai forza adesso hai finito di mangiare, corri in bagno subito a lavare i denti, pulisciti l’orecchio, anche il mentuccio, il dito, il piede, ti sei sporcato anche lì? Pulisciti anche lì. Forza. Ti sei pulito? Allora adesso mettiti il pigiama, che bel pigiama, c’è su Winny Pooh, anche lui è contento e anche lui ti dice su sbrigati vai a dormire. Adesso vai a dormire poi prendi una bella storia la leggi, anche la nonna ha telefonato ha detto… dormi!”.
Vi piacerebbe una cosa del genere nella vostra famiglia? Peccato che una famiglia su due pensa che queste “sono” le regole.
In realtà sono comandi, comandi e comandi e questo non potrà mai funzionare.
I bambini non ne vogliono sapere, aspettano che il genitore metta delle regole e che lo faccia con l’altro genitore e finché questo non avviene fanno i capricci.
Come metterli a dormire? A parte che bisogna garantire un timing adeguato, a 6 anni il minimo sono 10 ore, a 4 anni 11, 11 e mezzo.
Il sonno è importante, si tratta di una procedura, ossia di comunicare insieme al bambino e alla bambina che c’è un orario e che questo orario diventa la regola a cui devono attenersi piuttosto che andare a dormire perché il genitore glielo impone con insistenza.
Occorre richiamare l’orario “è ora di andare a letto, è ora di lavarsi, è ora di leggere una storia, è la regola, ti ricordi la regola?”. Nel giro di 2 o 3 giorni viene acquisita.
Perché al bambino piace la regola? Perché il bambino è conformistico, ripetitivo e nutre sicurezza nel ritrovare le cose uguali ai giorni prima. Quindi, la regola corrisponde allo sviluppo psicoevolutivo dei bambini.
Il comando, invece, è un’azione arbitraria del genitore e non ha nessuna ripetitività, cioè è basata sul puro e semplice richiamo del genitore.
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Se la regola è chiara, condivisa da entrambi i genitori e sufficientemente compresa, è praticamente impossibile che il bambino non la rispetti.
Quando il bambino non rispetta le regole, o sono palesemente sbagliate (“Vai a giocare ma non sporcarti”) oppure non sono state comprese. Prima di dire che il bambino non rispetta la regola è necessario verificare che l’abbia compresa e che ci sia un accordo tra i genitori.
La regola, infatti, ha bisogno di un’adeguata esplicazione, di una precisa collocazione e legittimazione che va comunicata adeguatamente per non essere confusa con un puro e semplice ordine tassativo.
Altro passaggio essenziale è che le regole seguano la crescita dei figli: va seguito il timing dell’autonomia del bambino adeguando le regole di conseguenza.
L’infanzia è molto diversa dall’adolescenza e dalla preadolescenza, quando il figlio non si modella più sul genitore, anzi vuole allontanarsi, congedarsi, fare da solo. Bisogna favorire questo processo.
Le regole, nell’infanzia e nell’adolescenza devono essere organizzate in modo diverso.
Nell’infanzia è molto importante che ci sia chiarezza, realismo e che i genitori siano d’accordo sulle regole. Fatto questo, non c’è bisogno di punizioni: il bambino è contento che i genitori siano ben organizzati.
Ovviamente le regole non devono essere tiranniche, ossia servire solo ai genitori.
Durante l’adolescenza, invece, ci sono istanze di allontanamento, si crea un passaggio che segna profondamente la vita dei figli…………………………………….
Non basta più che le regole siano chiare, devono essere negoziate: ad esempio, si decide insieme l’orario dei compiti e quello degli amici, ovviamente in modo ragionevole.
Le regole, poi, una volta negoziate, vanno presidiate e rese operative dal gioco di squadra dei genitori che costituiscono gli argini che offrono al figlio le sicurezze necessarie per affrontare le fatiche e le esperienze della vita, da cui non ci si può sottrarre.
Occorre che i figli trovino nei genitori anche quegli ostacoli evolutivi utili, secondo la nota metafora kantiana “è la resistenza all’aria che consente il volo”.
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Scritto da Daniele Novara
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